I monasteri sono finalizzati alla lode e celebrazione di Dio: non devono fare prioritariamente altro. Tutte le preoccupazioni primarie del mondo devono essere loro estranee. E pertanto…
Perché si diventa monaci e monache contemplativi e preganti, anche nella casta verginità divina, ovviamente precludente ad ogni progenitura genitoriale? A partire dai criteri e dalle finalità che oggi reggono alquanto l’esistenza del mondo, tutto ciò sarebbe senza senso e perfettamente “inutile”.
E invece, è proprio il destino primo e ultimo dell’esistenza umana che è ingenerato e determinato, nella fattispecie, dalla vita sacralizzata conventuale. La quale ha messo al centro della sua esistenza codesta apparente inutilità. È lì che si rivela evidente, come è dall’indiscutibile superiorità e incommensurabilità della detta impalpabile trascendenza. E da cui prende sostanza la materiale concretezza anche del fattuale! Tutta l’assurdità e la devastazione del nichilismo contemporaneo scaturiscono dal capovolgimento modernista: assolutamente non moderno!
Il quale, a partire dal tempo dal Rinascimento, ha voluto rovesciare il rapporto ben naturalemente predominante del Creatore Trinitario sul potere dell’uomo narcisisticamente organizzato – da allora massivamente in progressione – nell’arbitrario autosufficiente e illusoriamente autodeterminato. Questo sconvolgimento della realtà detta laica e definita “Stato”, è stato chiamato, ben più tardi, “statalismo”: vale a dire la prevalenza, anche illogica e sempre funesta, dello Stato su Dio e le Sue leggi pure naturali. Quindi sulla Persona! Rifiutando il solo ed unico dominio di Dio sull’universo, quantomeno evidentemente ontologico, ci si dispone a sottomettersi a tutto e a qualsiasi cosa!
Come l’aveva ben notato pure la più grande scrittice cattolica americana, Flannery O’Connor nel 1958 (certamente non per prima nell’umanità). La vera storia dell’uomo e dei suoi popoli è cominciata – lei diceva – con l’obbedienza totale di Abramo alla chiamata di Dio Creatore del mondo e della vita. Il grandissimo padre ebraico aveva così abbandonato il suo villaggio ed iniziò una nuova storia della sua vita, il cui viaggio è diventato quello del suo popolo tutto intero. Cosa mai vista prima! E ciò mentre tutte le altre popolazioni continuavano ad attardarsi a modellare i loro numerosi dei inevitabilmente in idoli politeisti e manufatti in bricolage, anche se a volte genialmente.
La cultura spirituale (monacale) da cui tutto scaturisce, compreso il progresso dell’innovazione tecnologica, aveva prefigurato l’immane sviluppo rinascimentale, anche artistico
Dai tempi prima di san Gerolamo nel Terzo-Quarto secolo, l’esistenza di minuscoli e poveri conventi (soprattutto nel deserto e sempre totalmente avulsi dal diabolico fattore potere del mondo), costituivano il prestigio di riferimento delle moltitudini di fedeli e dei potenti contemporanei. Al punto che anche gli anacoreti cristiani, spesso poi fondatori di conventi, erano molto amati o temutissimi da tutti i monarchi, in auge.
I primi responsabili di monasteri e badesse (allora molto abitualmente autorevoli e passivamente di primo piano) erano chiamati a consulto sempre più dai potenti allo scopo di mostrare, ben pubblicamente, la propria giusta sudditanza alla trascendenza e alla sovranità di Dio.
Ben altro, dunque, che il feroce statalismo endemico dei nostri giorni detto già secolarizzato.
Erano i tempi – oggi apostrofati “oscurantisti” in modo sprezzante, per crassa ignoranza storica – in cui il timore del Dio Creatore aveva ancora un senso comune. I monaci già detenevano, nella loro sapiente umiltà, il prestigio sociale più elevato. Così i religiosi assoluti monacali divennero, già ben prima dell’Alto Medio Evo, i protagonisti, con le loro reti di conventi già intrinsecamente pronti all’universalità pratica, di un fattore centrale anche delle più avanzate tecnologie. Soprattutto tenendo conto che i monaci erano i naturali più grandi viaggiatori del loro tempo. Con lo scambio dell’Eucaristia tra conventi e confratelli in Fede, erano i naturali promotori e diffusori – soprattutto nel Basso Medio Evo – dell’innovazione sensata nelle loro epoche: si formava così la civiltà come incrocio e sintesi dell’orizzontale (tecnico) e del verticale (spirituale).
Si tratta qui del tema cruciale del dibattito teologico e pastorale del Ventunesimo secolo, vale a dire del ruolo del discernimento di fronte ai problemi escatologici propri alla cristocentricità
Oggi, comunque, le cose sono rimaste praticamente immutate, con in più il fatto che il predominio della tecnoscienza sembra aver creato una vera e propria nuova e sempre più orribile “civiltà-religione”: l’attuale, fondata su una sorta di supposto equivalentesincretismo delle varie religioni diventate tutte validamente massoniche e onusiane. Il problema centrale della Chiesa contemporanea è che anche la sua concezione della religiosità è ora correntemente molto falsificata, non fosse che per induzione.
Si potrebbe notare che il materialista tedesco, Karl Marx, ancora purtroppo residualmente attuale, aveva sintetizzato con le sue 11 tesi, diventate famose, il pensiero dell’ateo suo connazionale Feuerbach: ”Non è Dio che ha creato l’uomo ma l’uomo che s’è inventato il Dio trinitario”, ne recitava esplicitamente una. Anticipando di un secolo così il suo futuro connazionale e alquanto teologo gesuita, a noi quasi contemporaneo, Karl Rahner. “Cattolico” molto protestantizzato e allo stesso modo piuttosto idolatra, come gli antichi pagani e materialisti des secolo Diciannovesimo.
Tutta la critica riduttivista e distruttiva di Feuerbach – e dello stesso Rahner – sembra aver trovato così compiutezza nel successo pratico della cosiddetta vasta sedicente teologia tutta relativista (ranheriana), piuttosto prevalente nell’attuale Chiesa cattolica.
Ne ho già parlato, o piuttosto accennato su questo Blog, rispetto alla critica molto approprofondita prodotta dalla Dottrina Sociale della Chiesa, particolarmente dall’eccellente Stefano Fontana sotto la direzione dell’immenso arcivescovo di Trieste e supremo teologo Giampaolo Crepaldi.
La cosa costituirà il punto centrale e cruciale – ne sono certo – di tutto il dibattito dottinario e pastorale (alquanto denominato oggi pastoralismo “creativo” e soggettivo) del nostro secolo.
Il quale sta ancora riducendo la religiosità nel suo esatto contrario. L’idéa di Dio è stata infatti condotta non alla sua troppo evidente piacchiana e totale negazione, ma alla risposta orribilmente psicologistica dei bisogni dell’uomo di oggi, alquanto sperduto e massificato nel suo agnosticismo narcisistico.
La causa dell’abbandono della Fede è stata così sostituita dall’effetto di un Dio addomesticato, autocostruito e a “misura d’uomo”. Dimensione tanto rincorsa attualmente dopo almeno ormai molte generazioni ben laiciste e nichiliste: in tal modo, si ha il Dio a sollievo (in più in modo parziale e sentimentaloide) della cosiddetta odierna “fatica di vivere”: la filosofia, dunque, di Feuerbach, in tal modo appena ora sviluppata! E con tutta la struttura ideologica della cosiddetta “Nuova Chiesa” (di origine fondamentalmente sempre rahneriana, senza troppo dirlo esplicitamente) basata sulla falsa idea che la divinità e la sua trascendenza derivano da una progettualità assolutamente umana e autonoma, “artificialmente” fabbricata dalla storia. Perdipiù collettiva (con lo storicismo) e di “esperienza” personale (arraverso il relativismo individualista). Vale a dire la negazione e all’opposto, come diceva precisamente il grande teologo Cornelio Fabro, già all’inizio degli anni ’70, della missione della Chiesa e del monachesimo. E pure, secondo la scoperta del tempietto del “dio ignoto” da parte di san Paolo ad Atene, nell’immensa cultura greca politeista.
È singolare e curioso che molti monaci e monache rincorrano oggi le preoccupazioni mondane al posto di dedicarsi prioritariamente alla loro celebrazione essenziale, evangelica ed eucaristica
La tendenza (stavo per scrivere la “fregola mondana”!) di voler diagnosticare e prescrivere ricette alla Chiesa in piena crisi identitaria, induce vari conventi e grandi monasteri a voler praticare “terapie dette progressiste”, improvvisate e soprattutto non cristologicamente fondate. E particolarmente eccentriche se non estranee alla vocazione conventuale e divina fondata sulla preghiera, l’adorazione e la laboriosità.
Se questa perniciosa attrattiva all’inessenziale pratica sociale (soprattutto nella nostra epoca molto socializzata dirigisticamente) da parte del monachesimo vocazionalmente consacrato alla divina lode, non si estingue rapidamente, i monasteri non potranno giocare il ruolo che l’”opzione Benedetto” ha loro attribuito ed iniziato a concretizzare nel destino del Cristianesimo e della Chiesa. Cioè continuare a formare innumerevoli piccole comunità ecclesiali di laici concentrati intorno ai nuovi (ma sempre antichi) conventi cattolici centrati sulla preghiera e l’adorazione dell’Eucarestia!
Oggi l’”ospedale da campo”, di cui parla Papa Francesco, può soprattutto riguardare i conventi comtemporanei come luoghi e origini permanenti del Sacro: dove l’essenziale e il cuore del Corpo Mistico è conservato nella continuità pregante in tutta la Sua grandezza e la Sua autenticità al centro del monachesimo.
Questa specificità deve essere il simmetrico dedicato e ben comprensibile per i laici impegnati in prima linea nel mondo. Essa è in tal modo per questi una pratica legittima e normale. E per dei monaci e monache, essa risulta addirittura surreale e a priori sempre eterodossa o molto, troppo eccentrica! La missione del monastero è per il monachesimo di installare molto indirettamente nel mondo e nello spirito degli uomini il concetto centrale dell’Eucarestia come memoria vivente e permanente del Cristo in carne ed ossa rigenerato in ogni Santa Messa. Particolarmente essa ha come scopo di rendere visibile l’Invisibile: la perfezione della Bellezza paradisiaca del Cristianesimo come incontro costante col Cristo, detto Figlio dell’Uomo, nella comunità umana.
La forza e la chiarezza intellettiva della finalità monastica è talmente così evidente rispetto alle cosiddette leggi del mondo, che ogni anche piccola deriva non può che segnalare un’angosciante mancanza di pura Fede dottrinale oltre che missionaria.
La missione globale e ben materiale della Chiesa, a partire dal cuore del Cristianesimo che non è altra cosa e prende fondamento solo nell’Adorazione Eucaristica validata socialmente dalla DSC
Dov’è finita la semplice progettualità per cui la patrona delle Missioni, vale a dire la responsabile morale dell’intervento più estremo ed esterno alla Chiesa, era stata designata una suora (santa Teresa) di stretta clausura?
Il monachesimo deve così generare – ed è quanto fa da molti secoli – giganti della cultura, ma silenziosa (per esempio quella continuamente avanzata dal cardinale Sarah) anche se non afona. L’intangibilità regale dell’eterna Verità non può che scaturire dal sereno silenzio contrapposto alla vana logorrea dell’ansioso cercare del mondo, perché praticamente sempre fallace. Dopo aver ricordato la formula petrina di Paolo VI per cui “La politica è la più alta forma di Carità”, cosa può fondare dottrinalmente e pastoralmente il residuo impegno oggi nel mondo e, particolarmente, nello campo sociale e politico? Solo e unicamente la Dottrina Sociale della Chiesa (DSC) è naturalmente abilitata al più alto livello a dare indicazioni veritative e criteri vincolanti.
Ma questo dicastero è oggi ancora tragicamente negletto, ancor più della sua sterminata e largamente ignorata sapienza relativa alla vita della polis cristiana e della sua storia. Le moltitudini di fedeli, ed in particolar modo i molti prelati con i loro attuali pretini o nuovi monaci parecchio erranti nell’incultura cristiana, dovrebbero sapere come astenersi in silenzio imparando assiduamente dal grandioso Magistero della Tradizione. Il Regno di Dio nel mondo, si deve dirlo, inizia sempre e ancora in convento nella preghiera perpetua intorno all’Eucarestia!
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