Il problema principale della fede nel mondo occidentale mi sembra essere più quello del panteismo e del sincretismo che dell’ateismo. Questo tema è stato appena sfiorato in un articolo apparso in “Famille chrétienne”, settimanale cui sono abbonato. L’articolo in questione era centrato su un incontro dialogico tra un famoso giornalista di primo piano, Franz-Olivier Gisbert – una sorta di sintesi tra Bruno Vespa e Giovanni Floris (che conduce anche una importante emissione alla televisione francese) – e un cattolico praticante, Raphaël Cornu-Thénard, architetto di professione e fondatore di un movimento ecclesiale denominato “Anuncio”.
Tutti sanno che il laicismo, fin dalla rivoluzione francese, sta stravincendo nell’occidente divenendo il “pensiero unico” ormai apparentemente più che maggioritario. Esso vuole estromettere sempre più totalmente il cattolicesimo (ma pure ogni altra confessione o religione) dallo spazio pubblico. Da qui la corsa sfrenata, anche del mondo cattolico, appresso alle cosiddette idee del mondo nell’illusione di non perdere il treno della storia. In ogni paese occidentale, infatti, e particolarmente in Europa, viene rivendicato il principio non solamente laico ma pure laicista e totalitario del pensiero politicistico e riduttivo del nichilismo detto “pragmatico”. Quello positivista che esclude a priori ogni riferimento sacro o soprannaturale. F.-O. Gisbert può essere considerato, nella cultura francofona, uno degli intellettuali più rappresentativi del pensiero massificato contemporaneo: “C’è poco di sacro nel nostro mondo”, apre furbescamente e cordialmente l’incontro. Ormai l’agnosticismo prevalente del nostro tempo non è più veramente ateo: “Per me – ripete F.-O G. – è sufficiente guardare un cielo stellato per credere in Dio”. Ma immediatamente aggiunge: “Sono contro il proselitismo; la religione è una cosa intima. Non l’immagino nella sfera pubblica”. Da buon spinoziano, attivo e militante F.-O. G. presenta, in tutto l’articolo, la sua ideologia ben compatta e laicista per coprire completamente il terreno culturale del possibile dibattito. Inutile, così, cercare tracce di bisogni creaturali e di salvezza!
Come già appare evidente, la sua concezione esistenziale, oltre a non essere completamente atea (la cosa sarebbe troppo contro l’evidenza e troppo faticosamente militante da sostenere), è minimalista e insignificante ma, comunque, estremamente distruttiva di ogni altra visione autenticamente religiosa: egli propone, di fatto, l’idea di una visione religiosa inoperante nell’esistenza la quale, per sua natura, non può pretendere, in sovrappiù, nemmeno una pur minima presenza sul piano pubblico.
Insomma, tutto il ritornello dell’intimismo laicista.
“Se la religione si limita – gli risponde giustamente l’architetto cattolico – alla sfera privata, si decreta la morte della Chiesa”. E aggiunge cristianamente, come argomentazione di evidenza, che Gesù è sempre stato un uomo pubblico! F.-O. Gisbert che si era appena dichiarato apertamente “discepolo di Spinoza” (pur sempre scomunicato dal 1600), in modo peraltro totalmente antispinoziano e contro la logica conseguenziale dello stesso filosofo olandese, dichiara, con lo scetticismo abitualmente nichilista da bell’anima angelica individualista e introversa: “Non amo la fede che conquista ma amo la fede felice”.
A parte la banalità lapalissiana di una fede che non può esistere se “infelice”, non c’è rapporto di contraddizione tra fede intrinsecamente missionaria e semplicemente pura fede. Anzi. Qui si svela anche la fragilissima impalcatura culturale, razionale e logico-formale più avvezza al non-pensiero conformista, riduttivista e massificato del nostro tempo che alla semplice e intuitiva filosofia popolare e puramente conseguenziale: F.-O. G. È, va da sé, di sinistra e si tratta qui di uno ritenuto tra i più grandi intellettuali “à la page” della grande tradizione laica “de la France!”.
L’idea di confrontarsi con l’indispensabile “altro da sé” per perseguire lo “spirito di verità” proprio dell’illuminismo sembra così evaporato nelle nebbie fitte del contemporaneo pensiero unico e debolissimo: perfino sgangherato pure per le tipiche superficialità e falsificazioni televisive.
Purtroppo l’architetto cattolico non ha saputo (forse non ha voluto) contestare le pacchiane incongruenze del “grande” giornalista editorialista, né affermare la rocciosa verità teologica del cristianesimo con tutta la sua insuperabile Tradizione Magisteriale. Ha cercato solo di cavarsela soggettivamente raccontando come, sul lago di Tiberiade in Israele, ha incontrato la sua fede…
Un po’ pochino per un articolo che si annunciava con il roboante e tradizionale titolo, anche in copertina, da “Dio, un tabù francese?”. Qui ci si sarebbe aspettati almeno un accenno alla straordinaria missione storica, praticamente riuscita, del laicismo devastatore per quasi più di tre secoli della visione cristocentrica della civiltà occidentale. E francese. Ma nulla!
Tutto il quasi “simpatizzante” o pseudoecumenico catto-protestantesimo bergogliano per la religione luterana, la quale si concepisce tutta interna al sistema del potere mondano, non permette di opporsi veramente alla visione politica e globale modernista della concezione totalitaria oggi in auge. Non è la verità a inspirare il dialogo ma l’aprioristica ed incondizionata intesa finale. Quasi sempre alle spese della subordinazione remissiva cattolica!
Questa timidezza intimista del cattolicesimo contemporaneo non immagina nemmeno di poter ergersi fiero, soprattutto pubblicamente, con la razionalità e potenza storica del Mistero cristiano. Anche di fronte ad un panteismo primitivo e ad un agnosticismo, al più sincretistico, sterile e senza il senso cosmico che pure solo le stelle fan pienamente immaginare e prefigurare.
La conclusione dell’articolo in questione è anche stata siglata dallo stesso F.-O. Gisbert. Era da immaginarselo: in una francofonia globalmente nichilista ancora e sempre laicisticamente all’attacco di una religiosità preordinatamente remissiva e “spiriritualista”, l’atteggiamento non può ssere di militanza propagandistica. La nostra piccola star della tuttologia massificata ha così sibilato, come alla televisione con il farlocco e abituale “fervorino finale” falsamente profondo: “Non si può credere al sacro senza credere in Dio”. C’è forse qualcuno che potrebbe affermare altro che la tautologica verità di questa proposizione analoga a quella per cui il sole sorge al mattino e tramonta la sera?
In realtà, è questo il livello squallido e superficiale in cui si è ridotta la contesa oggi sulla suprema questione escatologica e salvifica dell’umano. Anche nella Chiesa da parte di movimenti cattolici che rivendicano opportunisticamente che l’importante è “non avere – molto anticristianamente! – nemici nel mondo”. Oppure che bisogna essere in sintonia con le idee progressiste dello stesso mondo: mai – secondo questa ormai direttiva detta pastorale – pensare di conclamare la verità evangelica ed eterna, l’unica.
Ma chi si incarica, allora, di affermare che Cristo è già stato mandato dal Suo Eterno Padre ad annunciare e proporre non meno che la salvezza per ogni uomo e per il Regno dei Cieli che comincia quaggiù?
Cosa perdipiù conquistata sulla Croce e nella Resurrezione pasquale dalla Verità Trinitaria!
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