È da parecchi anni che in Comunione e Liberazione c’è una certa direzione (maggioritaria) del movimento che bisbiglia di “nuove catacombe” dove ci si dovrebbe ritirare dal mondo.
Le tendenze autolaiciste di esclusione dalla “orrenda” vita pubblica, sociale e politica si fanno sempre più esplicite al punto da generare già una vera e propria lacerazione all’interno delle sue comunità. Da un lato, questa parte ben incline a rinchiudersi attribuendo le proprie relazioni sociali e pubbliche a quelle strettamente e direttamente personali; e dall’altro, tutti quelli che, fedeli al carisma totalizzante e globalizzante ricevuto dalla geniale condotta del primo mezzo secolo da parte di don Giussani (morto nel 2005), continuano ad inseguire una testimonianza aperta e pubblica. La tradizione di questi ultimi rivendica la necessità di tenere ben inchiodata e unita la dimensione orizzontale e umana a quella verticale e trascendente (divina). Quella dei primi, invece, ha scelto – sembra in modo irreversibile – una opzione ridotta ormai a spiritualismo intimista: essi accusano gli altri di superficialità stigmatizzando ogni manifestazione pubblica d’inutile e dannosa: antagonista e fuorviante dalla profondità originaria della natura e della fede cristiana (anche nella sua struttura antropologica).
La seconda tendenza, quella che continua a coltivare un cristianesimo integrale contro ogni laicismo, accusa la prima di riduzionismo umanamente e religiosamente irresponsabile oltre che abbastanza sterilmente clericale. Oppure di ignavia settaria e obiettivamente disfattista di fronte al nichilismo della secolarizzazione, data da questi sedicenti neo-mistici, come completamente già vincitrice.
Anche la concezione della storia di questi spiritualisti detti ormai “vigliacchi” è stata sconvolta: don Carron, l’attuale responsabile di CL, ha définito riduzionisticamente e in modo molto opportunista il monachesimo medievale come un movimento che ha, sicuramente, salvato la civiltà mentre i barbari invadevano le società cristiane. Ma egli ha dimenticato totalmente tutta la parte missionaria in questione! La moltiplicazione degli ordini monastici con carismi ben diversi era funzionale, in effetti, all’impetuosità della fede che poteva essere soddisfatta solo con la diffusione di migliaia di conventi su tutto il territorio almeno europeo: i francescani, per esempio, sono giunti anche in Irlanda! Senza parlare della funzione di sviluppo tecnologico ed economico dovuto agli innumerevoli scambi que tutti i diversi monaci hanno continuato a produrre per vari secoli in tutta Europa. Nella loro epoca essi erano i rari “manager” (oggi li si definirebbe così) a percorrere il Vecchio Continente, dal Portogallo alla Siberia, non solamente per scambiare tra comunità e monasteri la sacra unità dell’Eucaristia. Tutta la vitalità del Rinascimento è stata preparata meticolosamente da questo formicolare centenario di tipo globale: verticale e orizzontale, trascendente e umano (cognitivo ed economico) di scambi intensi prodotti dal gigantesco movimento monastico. Esattamente il contrario di quanto raccontano tutti gli alquanto ignoranti miscredenti attuali che affermano la nozione modernista che falsifica il Medio Evo come “oscurantista”, reazionario e chiuso.
Peraltro, questa visione sorprendente (soprattutto per un movimento come CL storicamente e socialmente identitario) anche scaturita dall’insediamento di una nuova direzione del movimento – possiamo dire ex giussaniano –, ripiazzante la precedente nella quale ora si crede al rinchiudersi dei cristiani nei monasteri, è altrettanto falsa dell’idea “clandestina” delle catacombe. I primi cristiani ci si riunivano in quanto non c’erano naturalmente vere chiese. Oppure non c’erano luoghi pubblici dove seppellire cristianamente i loro morti. Al contrario, è apertamente, nelle società del tempo (soprattutto a Roma), nella vita quotidiana, politica e sociale, che i primi cristiani inevitabilmente si manifestavano… Altrimenti, come spiegare i martìri di massa dei primi due secoli? Oppure la conversione dell’imperatore Costantino all’inizio del quarto? Il cristianesimo è sempre stato necessariamente pubblico. Sul modelo dei tre anni di predicazione e di vita evangelica di Gesù. Fino alla Sua morte gloriosa, pubblicamente sanzionata (come del resto oggi, metaforicamente e teologicamente), sul Golgota.
È abbastanza “moderna” questa idea di ritiro dalla vita pubblica, della pratica anche autolaicista di molti attuali cristiani (a parte la vita contemplativa e vocazionalmente consacrata nei conventi di clausura), a causa della “vergogna di Cristo”, come non cessava di ripetere don Luigi Giussani (in via di canonizzazione). E questo di fronte alla secolarizzazione attivamente laïcista degli atei e dei relativisti nichilisti.
Questo è il problema numero uno per quanto resta del cristianesimo vivente che, non avendo per nulla dimenticato il suo eterno messaggio salvifico, continua a renderlo soprattutto ed anche pubblico (missionario).
Certo, non solamente pubblico. Anche – come sempre – privato, nelle relazioni dirette e personali. Pure intime: non c’è e non ci sarà mai né antagonismo né contraddizione tra la testimonianza privata e pubblica! Cominciando dalla Famiglia, l’istituzione principe di tutta la società… Là dove la civiltà e la testimonianza personale si fondono non solamente emblematicamente.
Ma da dove viene questa involuzione intellettualistica, degenerativamente declinante e fatalmente psicologistica? Essa dipende molto direttamente dalla diffusione massiccia del contemporaneo “pensiero debole”, conformista e denominato “unico”. Quello dei filosofi modernisti miscredenti e relativisti: il mondo diabolico che ha riempito di “fumo” la Chiesa cattolica. Soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, come l’aveva gravemente detto papa san Paolo VI.
Avevate parlato di chiusura catacombale o monastica?
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