Questo è il mio ultimo post del 2015. Ne avrò pubblicati più di una cinquantina ma – a dire il vero – è questo che dà, o dovrebbe dare, il senso primario a tutti gli altri. È il suo contenuto, in effetti, che gli conferisce questa supremazia prioritaria: la forza inimmaginabile e gratuita della fragilità del neonato chiamato Gesù, appena partorito in una stalla, in una grotta sotterranea. All’esterno, una stella illuminava il luogo per indicare anche a pastori e ai Re Magi, nello sconosciuto e nel buio del solstizio d’inverno, la via verso l’avvenimento previsto ma inatteso, certamente il più sconvolgente in tutta la storia: nell’oscurità dell’anima umana che sempre cerca, sperando, la speranza della salvezza globale e totale. Maria era silenziosa e completamente realizzata di fronte al miracolo muto della nascita che l’aveva tutta trasfigurata. Nel reale carnale dell’avvenimento, abitualmente normale ma così divinamente originario, ella contemplava le conseguenze della sua semplice e completa disponibilità, per sé stessa misteriosamente preferita. Giuseppe, suo sposo, era appena uscito dai dubbi propri dell’innamorato naturalmente geloso. La cosa fu possibile grazie anche all’intervento di un angelo provvidenziale che gli aveva mostrato la semplicità inaudita del divino che si incarnava. Egli raccoglieva tutta la sua virilità nell’umile modestia del suo essere già santificato.
Nei loro gesti fattuali, si può immaginare la loro prudenza genitoriale massimamente attenta e intenta allo svolgimento sacro della loro eterna missione.
Esattamente un anno fa, con mia moglie, sono andato in pellegrinaggio in Terra Santa (con la diocesi di Milano, guidata dal suo arcivescovo e patriarca Angelo Scola), per visitare e meditare da vicino, nei luoghi e le circostanze del più grande Mistero che aveva per sempre collegato la Terra alle profondità del Cielo. Appena arrivati a Betlemme, siamo scesi, soli in coppia, nella grotta dove il Salvatore dell’umanità è veramente nato. Una stanza, se si può dire, ultima di tre o quattro piccoli antri tutti scavati nel sottosuolo dell’attuale chiesa poi costruita sopra. La grotta della Natività era ricovero di animali. Essa disponeva di qualche metro quadrato e, attualmente, è fornita solo di un piccolo altare privo di tutto, più qualche sedia. Nulla d’altro. Dopo qualche minuto di raccoglimento, sono arrivati in silenzio una trentina di pellegrini cattolici asiatici condotti da un loro prete. Questi, senza esitare, s’è messo subito a celebrare una santa messa in inglese intensamente seguita dalla sua piccola comunità ”gialla” e felicemente stipata. E dalla nostra coppia, soli occidentali.
Fu una eucaristia al più alto grado emblematica nel suo universalismo: in Palestina, territorio oggi arabo, liturgia in inglese, fedeli d’estremo Oriente e noi milanesi residenti con la nostra famiglia da quarant’anni a Bruxelles. Tutti comunicanti con lo stesso corpo di Cristo, là dove il più umile e clandestino dei Misteri aveva sorpreso anche il re sottomesso, totalitario e feroce, anche se convinto cittadino romano, Erode detto il Grande (quello della strage degl’innocenti).
Stava pure succedendo che la mia famiglia sostenesse (e sostiene sempre) a distanza sei bambini non ancora incontrati dell’AVSI, l’associazione missionaria nel mondo di Comunione e Liberazone. Due bambini orami già adolescenti vivono nel Myanmar e non avrebbero dovuto essere molto dissimili dal gruppo di pellegrini ben orientali che ci avevavo raggiunti nella più famosa delle grotte: nulla succede per caso. Tutti hanno voluto, dopo la “Missa est”, stringerci la mano e rivolgerci qualche parola gentile, con la grazia propria ai gesti dei loro paesi, come se fossero riconoscenti per la nostra presenza…
Questa piccola esperienza dove la debolezza apparente raggiungeva – nella circostanza – la più grande e maestosa umanità, ci ha molto colpiti. Soprattutto che da allora il pensiero di aver constatato la storia che tutti gli esseri della Terra sono diventati (oppure possono diventare) – per la prima e unica volta nella storia, ma sempiterna – veri fratelli familiari del figlio di Dio, non mi ha veramente mai abbandonato. Con la sua nascita, si è concretizzato per noi ormai bruxellesi un luogo di memoria ben materiale, tanto più che si tratta di quello realmente vero. Spesso non finisco di pensare alla ricerca spasmodica, nel nostro mondo modernista (per nulla moderno!) della forza dietro la potenza o il glamour narcisticamente e esteriormente costruita. Prima del Mistero della Passione, della Morte e della Resurrezione che il pellegrinaggio ci avrebbe dato la possibilità di rivivere di lì ai giorni seguenti, abbiamo così potuto vedere realmente presente già nella Natività tutta la dimensione paradossale del cristianesimo. Vale a dire l’idea centrale della creaturalità dell’umanità in ogni caso creata da un Creatore, dal Creatore. Questo è e sarà costantemente all’opposto di ciò che la perdizione nichilista e prometeica sembra inseguire fondamentalmente nella nostra epoca così apparentemente relativista e atea. La forza già disarmata del Bambin Gesù ci annuncia la liberazione e la redenzione da questa diabolica follia umana, totalmente libera nel suo arbitrio.
Tuttavia è Giovanni, nel suo vangelo, che ha al meglio presentato e significato il senso della Natività. Nel suo prologo, egli scrive un grandioso inno a Gesù Cristo, figlio di Dio fatto uomo. Il Verbo che s’è fatto carne, è Dio che è venuto ad abitare e vivere con noi. E noi gli uomini vediamo nell’umanità di Cristo già la gloria di Dio. Vale a dire l’azione creatrice del Padre trinitario, qui su Terra.
“In principio era il Verbo – scrive Giovanni nel suo Vangelo –, e il verbo era Dio. Tutto è stato fatto da lui, e senza di lui, niente di ciò che esiste è stato fatto. In lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini. E la luce splende nelle tenebre. […] La luce, la vera, quella che illumina tutto l’uomo, giungeva nel mondo”. (Giovanni, I, 1-10)
Parole queste sorprendentemente molto moderne che sembrano appena scritte nella nostra era e non – come in realtà – quasi duemila anni fa!
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