Cosa rappresenta l’ala nell’intestazione di questo Blog? Mi ero dimenticato di parlarne.
E pertanto, non appena l’avevo vista in esposizione a Bruxelles, ancora prima di conoscerne il prezzo, avevo sùbito deciso che dovevo averla. Era il 1989. Un amore a prima vista, quasi come quando ho incontrato la mia futura moglie nel 1964! Era la scultura di un americano a me sconosciuto (mi avevano detto), di un’ala scolpita, molto bella con il suo zoccolo e i suoi supporti: più di un metro di altezza, in metallo brunito e strutturato possentemente.
Ne ho chiesto il prezzo e, a gran sorpresa, il tutto costava solo 18.500 franchi belgi: 450 euro!
L’ho subito portata a casa: avevo trovato il simbolo scolpito della mia famiglia.
Cosa di meglio, mi dicevo, che un’ala, una bell’ala, per attribuire un segno al mio piccolo nido: mia moglie, io e i nostri due bambini, all’epoca di appena qualche anno.
Il destino umano di ogni uomo può solo essere legato positivamente al suo tentativo permanente di involarsi. Il primo uomo che si è alzato sulle due zampe è diventato quello che già era in potenza, vale a dire un vero aristocratico. Qualcuno che, stanco di contemplare il posteriore dei suoi congeneri, si era sollevato per scrutare l’immensità del cielo. Aveva visto così le stelle e l’infinito dei suoi desideri. Aveva sognato sul suo significato, sul senso della sua vita, dell’universo intero.
L’ala. Egli non immaginava assolutamente che appena venti anni prima del mio colpo di fulmine, essa avrebbe permesso di allunare sulla lampada variabile che illuminava la notte dei suoi piccoli pensieri. Aveva l’intuito, in ogni caso, che era ancor meglio che mettersi verticale in punta di piedi. Forse era la prima volta che aveva concettualizzato la metafora: sapeva che non poteva fabbricarsi nessuna ala, ma che idea possente gli apportava il solo pensiero analogico a quello degli uccelli che gli sorvolavano il naso!
Così guardare le stelle e le cose umane dall’alto di un volo alato gli avrebbe permesso di cominciare a globalizzare l’esistenza: di vedersi appartenere sia alla terra che agli astri della sua immaginazione, del suo più che reale infinito. La sua appartenenza alla superficie delle cose non gli era più sufficiente, se mai ne fosse stato soddisfatto: facendo il gesto di levarsi in piedi aveva compreso che la sua vita, apparteneva alle profondità, cioè ai cieli. E poi aveva realizzato que lui, fondamentalmente… apparteneva: ci doveva essere qualcun altro, di grande, di molto più grande, a cui egli doveva appartenere. Più tardi, molto più tardi, avrebbe potuto conoscere anche l’esistenza degli angeli alati.
Per il momento, l’ala era diventata l’organo ideale che gli mancava: doveva solo domandarla.
Ma a chi? Ecco come aveva anche scoperto, in un solo colpo e direttamente nel suo stesso cuore, una nuova parola che gli avrebbe cambiato la sua povera vita: Dio.
La più grande personalità belga di tutti i tempi, a fianco del santificato Padre Damien e del re Baldovino (in via di beatificazione), il cardinal Reis, grande antropologo e professore all’Università di Louvain, morto nel 2013, aveva definito questo uomo benché primitivo, homo religiosus, vale a dire il prototipo di ogni uomo: anche primo nella serie antropologica degli homo habilis, homo faber, homo sapiens, homo ludens… Infatti, questi non era più solo e sperduto. Ancor più, quest’ominide aveva già scoperto che siffatto Dio era ben lo stesso che lo aveva veramente creato. Era proprio Lui che generava in ogni momento la sua esistenza, i suoi amori, le sue relazioni, i suoi progetti divini… E questo malgrado la sua totale libertà umana! Tutto il senso di ciò che lo circondava e nel quale la sua persona era immersa prendeva vita.
Sapeva ormai che avrebbe cercato quest’ala tutta la sua vita.
Anch’io l’avevo trovata. Quantomeno, cominciavo a trovarla veramente.
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