Dove nasce veramente l’orrore dello statalismo e dove si constata che cos’è il laicismo della società moderna rispetto alla laicità. La quale si scopre “inventata” dallo stesso cristianesimo
In fondo, il problema centrale politico della nostra era – dall’antichità – è lo stesso di sempre: è lo statalismo. Ma cosa è lo statalismo? È il tentativo, praticamente costante, da parte dei laicisti più o meno atei di predominare o di eliminare il potere di Dio e delle Sue leggi. Vale a dire ci si trova di fronte alla pratica della volonta di sterminio del potere della Persona e di tutte le sue prerogative umane, da parte dello Stato politico. Il quale deve ideologicamente e imperativamente sempre prevalere, in quanto potere fittiziamente assoluto, sull’altro potere, completamente totalizzante e divino. La lotta (infinita) tra queste due polarità è alla base di ogni conflitto umano. Attualmente, l’orribile statalismo sembra percepito ed essersi ridotto a quello economico. In realtà esso è inevitabilmente e strutturalmente collettivista, in opposizione antagonista alla stessa libertà ontologica della Persona. E ne è solo una conseguenza globale, dunque ancora falsamente religiosa in senso per l’appunto ideologico. Ho usato due termini: “laicisti” e “ideologicamente” senza che i loro veri significati (attualmente molto mistificati) siano ancora forse abbastanza precisati, almeno nel constesto generale e del mio discorso. Per cui eccone la loro spiegazione essenziale. Con il termine “laicisti”, indico anch’io sempre e abitualmente tutti i seguaci del potere assoluto statale. E ostili – spesso in opposizione irriducibile – a quello di Dio. Il quale non può che essere espulso da tutto il processo democratico relativo al sociale e al politico. La logica pseudo-oggettiva della gnosi e della sua gestione politica sono intrinsecamente in antagonismo col potere divino. Quindi della Persona umana, cioè non solamente materiale e fattuale. Ma in modo a favore totalmente esclusivo dello Stato laicista.L’altro termine relativo all’“ideologia” significa quindi questa pretesa di assolutizzare, determinare e attribuire il potere solo allo Stato. Mentre in effetti, esso è intrinsecamente, ontologicamente e naturalmente costituito dall’immanente del concreto ma anche – e soprattutto – dalla sua dimensione sempre trascendente: quella eterna della metafisica e negata dal laicismo.
Essa è detta spirituale o di Dio con le Sue leggi, su cui si fonda irriducibilmente la libertà della Persona. Del resto è il cristianesimo che ha inventato o meglio, scoperto nonché rivelato, la parola laicità. Riconoscendo così la sua accezione materiale rispetto a quella sua divina e spirituale, generatrice invece del Tutto (dall’alfa all’omega). Se ne veda nel Vangelo la presentazione e la distinzione, per la prima volta nella storia, allorquando Gésù stesso ne descrive i due poteri: quello di Cesare e di Dio… Come allora funziona la convivenza tra questi due poteri in cui quello divino comprende e legittima lo statuale, ma non simmetricamente da parte degli intolleranti e spesso totalitari statalisti?
Essa si svolge con e nella democrazia. Cioè con l’esercizio del potere, con le leggi imposte a tutti.
Ma la democrazia, per non essere dittatoriale o totalitaria, deve garantire i diritti inalienabili e intangibili anche della minoranza. La quale – accettando di sottomettersi, per l’appunto democraticamente, alle leggi statuali (non stataliste!) – si accinge sempre alla conquista del potere, alle elezioni seguenti o prossime: realizzando così, con la critica politica continua, l’alternanza democratica.
Le tre culture del cattolico integrate armoniosamente e indispensabili per far fronte alla globalità della sua esistenza, senza nessun riduzionismo liberticida di tragico abbrutimento transumano
Nella sua storia, l’umanità non ha mai trovato, tra i regimi politici, nulla di meglio della democrazia.
La disciplina democratrica, cui tutti gli uomini si devono sottoporre, è regolata, per esempio da parte dei cattolici anche in sovrappiù, dalla Carità necessariamente relazionale. Papa san Paolo VI non aveva mancato di definire la politica “la più alta forma teologale”. Il cattolicesimo, pur concependo la sua visione ideale come teocratica (con il dominio cioè delle leggi divine) e pur ricercando sempre il Regno dei Cieli che inizia qui su Terra, rispetta la legge ferrea della democrazia e non imporrà mai la sua, per definizione, antitotalitaria e ideale teocrazia. Da cui l’importanza capitale della politica allo scopo di essere, in quanto cattolici, massimamente influenti nella conduzione democratica.
Dunque nella realizzazione possibile dei suoi principi cristiani (quindi totalmente umani) nelle leggi e nella cultura civile dei Paesi. Tutta la civiltà occidentale, di origine cristiana, si è costruita nei millenni in questo modo. I cattolici, naturalmente come tutti gli uomini, appartengono allo Stato ma ancor più al loro Corpo Mistico, vale a dire alla comunione della Chiesa e alle sue comunità specifiche ed ecclesiali con cui informano e formano anche la realtà pubblica. In quanto è lo spirito che predomina – deve sempre predominare – sul materiale per determinarlo, nel concreto. E non viceversa.
Qui è tutta la differenza, per esempio, con il protestantesimo e con troppe tendenze attuali interne al cattolicesimo purtroppo già oggi molto protestantizzato. Nei nostri giorni, per esempio, il principio cardine del cattolicesimo, cioè l’obbedienza all’unica e suprema Autorità ecclesiale, è quasi sparito: e non solo per la ragione che il pontificato vi ha di fatto molto rinunciato, ma anche perché i cosiddetti fedeli si sono impadroniti di una cultura detta ancora religiosa che si produce dal basso (!) e solo spontaneamente. Sono dunque tre le previe appartenenze dei cattolici totalmente liberi: alla Chiesa universale romana; alle sue comunità locali o carismatiche; e, in quanto cittadini, la terza appartenenza è alla politica e alle leggi dello Stato che, naturalmente, deve tutelare e garantire le pratiche delle altre due prime. Quindi, tre sono anche le sue culture specifiche: la cultura religiosa cattolica (cosmica) della Chiesa; la cultura comunitaria specifica (ecclesiale e locale); e la cultura societale e politica di civiltà, legittimamente molto statuale. Queste tre sono integrate e coordinate armoniosamente. Il lavoro politico globale e particolare lo permette e ne è finalizzato. Ma soprattutto, l’uomo non può permettersi di ridursi unilateralmente, contro ogni suo destino ontologico: salvo abbrutirsi transumanamente, come nella nostra epoca massificata. Fino ad escludere una o l’altra di queste tre dimensioni culturali. Le tre, all’evidenza, non sono per nulla proprie ed esclusive del cattolico. Si tratta invece delle dimensioni contemporaneamente indispensabili all’uomo anche non credente (non coscientemente credente!), per sfuggire all’irrazionalità estenuante ed insensata della sua, soprattutto, attuale esistenza.
La padronanza delle tre culture nelle loro distinzioni radicalmente diverse, sebbene integrate, come regola della modernità per evitare ogni modernismo degradante di fatale dannazione
Ognuna di queste tre culture deve essere percepita ben separata fattualmente, anche se sempre integrata armoniosamente in una unica visione correlativa alla libertà e rispetto alle altre due complementari. Per cui la cultura sacramentale della Chiesa deve dominare, informare e includere quelle delle comunità religiose militanti e quella politica del partito funzionale alla gestione giuridica e civile del Paese in questione. Praticamente l’”Opzione Benedetto”!
Una sola Chiesa (cattolica) quindi, la romana e petrina; un particolare radicamento locale ed esistenziale nella personale vocazionalità carismatica; e, naturalmente, un solo partito nazionale identitario (tra tutti gli altri, democraticamente) di esistenza civica pubblica e di pagarone riferenziale!
La partecipazione a queste tre dimensioni comporta un rigore teorico e comportamentale la cui carenza provoca tutte le devastazioni già preventive e iniziali della nostra vita generalmente associativa, detta moderna. Quella percepita come caoticamente devastante in tutta la nostra epoca.
Così, mentre e durante che la cultura di appartenenza totale alla Chiesa cattolica permette, per definizione, di identificarsi al proprio destino vocazionale universale di totale pienezza in quanto creatura riconoscente al suo Creatore, la dimensione culturale e comportamentale comunitaria situa il fedele nella concretezza della sua identità storica. Nel suo esistere anche pubblico unico e irripetibile. Di fatto, molto spesso e quasi sempre, questa sua appartenenza coincide, o dovrebbe coincidere, con l’unità comunionale con la Chiesa di Pietro. L’omogeneità intrinseca, sia salvifica che liturgica, lo permette per antonomasia. Con la scelta del partito politico, invece, le cose non sembrano quasi mai univoche ed immediate. Già la direttiva dissennata e eterodossa, soprattutto dell’attuale pontificato, ha indotto nell’errore madornale della diaspora del voto dei cattolici, in pratica e indifferentemente, su tutti i partiti del mercato politico… È però molto curioso che una rilevazione relativa ai cattolici impegnati, quelli che vanno “assiduamente a Messa”, attesta ora che si siano “astenuti al 52% (!) dall’andare a votare a queste europee”: che la vergogna del voto in diaspora per i partiti nichilisti abbia cominciato a fare il suo effetto?
Ma c’è anche altro. Particolarmente, si tratta dell’applicazione dei criteri di appartenenza con le sue regole di comportamento soprattutto rispetto alla militanza nel partito.
È in effetti assurdo credere che la cultura del partito politico laico possa richiedere gli stessi principi di funzionamento relazionale delle comunità ecclesiali! Eppure è successo, e continua ad accadere, che vengano ingenuamente esigiti nel partito, in modo dissennato da parte di cattolici, comportamenti culturali e associativi che sono propri degli ambiti ecclesiali.
Ma la degenerazione più grave è l’asservimento attivo alla mistificazione per cui i cattolici impegnati nascondono il loro vergognoso voto per partiti laicisti, dietro le preferenze dei loro amici
Alle elezioni, si votano innanzitutto i partiti, con le loro ideologie e i loro programmi. E solo molto secondariamente si esprimono le cosiddette preferenze per candidati amichevolmente preferiti.
La scelta del partito da votare diventa così, per assurdo in modo capovolto, quella per cui l’amico, o gli amici, ci si candidano… Questi avranno, come sempre, irrilevanti possibilità di emergere rispetto alle politiche naturalmente prefissate di siffatti organizzazioni partitiche, più o meno imprigionate nelle visioni e nelle possibili dinamiche trasformative, sul piano culturale. Scelte, queste, che in modo infinitesimale siffatti candidati amici potranno realmente e ragionevolmente influenzare. L’esperienza dimostra che, se questi candidati non cambiano partito, la loro cosiddetta influenza miracolosamente millantata sia soffocata o, peggio, mistificata nella marginalità. O nell’insignificanza strutturale dell’oggettività effettivamente percepita dagli elettori. I destini delle idee politiche dipendono da sempre, e sempre più, dai fattori intrinseci alle caratteristiche delle varie identità di ogni partito politico. Il quale ne conserva, come un fatale imprinting per molto tempo, comunque sempre troppo lungo, perché ci si possano cullare le illusioni dei cattolici benpensanti sulle loro capacità personali, di giudizio e di azione. Soprattutto, su quelle dei loro raccomandati sostenuti come candidati miracolo per i loro sempre supposti e strapotenti apporti… Il grande errore, in questi casi, consiste nella sopravvalutazione, perdipiù “appoggiata” sul giudizio amichevole del candidato da raccomandare, rispetto all’identità sempre di lunga e strategica durata del partito stesso. L’irrilevanza dei cattolici nell’almeno ultimo quarto di secolo è rinchiuso in questo ormai classico paralogismo per cui sarebbe più affidabile la fedeltà nel mandato dell’individuo (!) che quella già fragile della struttura stessa dell’organizzazione politica in questione. L’ingenua cultura, pressapochista del cattolico passivo o mediamente militante attuale, è quella di misconoscere la debolezza, esposta alla rosa dei venti e delle temperie politicistiche, proprie delle sue valutazioni personali (spesso senza principi cattolici) ma importanti rispetto alle logiche politiche. In ogni caso, al di fuori del sempre piccolo contesto relazionale in cui le motivazioni della scelta di supporto hanno una molto limitata importanza, l’effetto della raccomandazione si diluisce impercettibilmente come una goccia nel mare. E questo anche indipendentemente dalle innumerevoli accidentalità proprie alle vicende personali. O più propriamente ed imprevedibili “opportunità” d’occasione fatalmente predeterminate.
Naturalmente, i piani divini della Trinità possono sempre trasformare il male in bene…
Abbagliati dal cosiddetto successo politico immediato, si attenuano le criticità verso i partiti laicisti e si acutizzano le possibilità di incidenza della detta raccomandazione amichevole, millantandola
Al cattolico viene richiesto, innanzitutto e sistematicamente, sempre la testimonianza cristiana e la linearità della scelta strategica della Chiesa petrina e vivente. Vale a dire seguendo scrupulosamente le indicazioni razionali del dicastero della Dottrina Sociale della Chiesa. E non le convinzioni, anche se legittime in espressività individuale sull’efficacia delle proprie amicizie: queste, se mai, possono essere applicate, possibilmente con profitto, solo in modo subordinato e secondario.
La DSC non a caso decreta che nemmeno si debba andare a votare (!), se un partito laico veramente scrupuloso sulla Dottrina cattolica e sui suoi “Principi non negoziabili” non sia presente, criticamente e attivamente, sul mercato elettorale! Anche lo stesso voto è quindi messo in discussione rispetto perfino alla sua finalità. I partiti laicisti, nella nostra epoca, sono perdipiù quelli che si vantano di dichiararsi inamovibili rispetto alle leggi transumaniste e devastanti già approvate: come se il fatto di essere passate all’applicazione le abbiano rese giuste ed eterne… Non è poi nemmeno da prendere in esame il fatto che il laicismo nichilista e relativista sia implicato totalmente anche rispetto a nuove leggi perfettamente anticristiane in progetto di realizzazione. Su queste, i cattolici falsamente zelanti rispetto ai programmi economici o sociali e scatenati nell’”urgenza di efficacità” (a volte anche apparentemente ragionevole!), stendono un pietoso velo di condiscendenza anche motivando che il loro, nel qual caso, candidato raccomandato ben combatterà la sua battaglia “ortodossa vittoriosa all’interno del suo partito”, ma dagli esiti incerti. Dopo più di una generazione di cotali pie intenzioni, il grande esperto in materia, il cardinale Ruini, ha formulato la condanna sull’”irrilevanza tragica dei cattolici della diaspora in politica”.
In realtà l’unico problema serio, urgente e centrale nell’época dell’indistinto e confuso contesto culturale post-secolarizzato, è quello di ricostituire un partito veramente e totalmente identitario per veri cattolici e uomini di buona volontà, anche non credenti purché non razionalisti.
Quest’opera difficile e lunga è incomparabilmente da priorizzare ad ogni altra! Soprattutto dato il pietoso stato della Chiesa e il livello di litigiosità dei cattolici nei nostri giorni, in confronto ai piccoli e molto incerti vantaggi offerti dai partiti “miglioristi” rispetto a quelli precedenti ancor più nichilisti. Installati da decenni in Europa e nei governi nazionali.
Questo partito è stato fondato in Italia appena tre anni fa. E nulla, veramente nulla, giustifica il non votarlo, fino ad ora, massivamente e raccomandarlo nella più completa amicizia e fiducia.
Risulta ancor più assurdo il fatto, peraltro, che questo pontificato, apparentemente anche alquanto ormai demente dopo la sua intermittenza dei primi anni, non fosse tutto interno al Mistero della Trinità. Il clero centrale è – per esempio – non solo in disaccorso con tutti i suoi vescovi dei Paesi di partenza dell’emigrazione, in quanto così svenati da tutti i giovani migranti (quasi tutti maschi!).
Ma non hanno nemmeno pensato lontanamente a sponsoririzzare questo partito, il Popolo della Famiglia: tesi a sostenere le politiche sinistrose e nihiliste europeiste! Come prima conseguenza, ancora una volta,il giovanissimo partito di riferimento è stato pochissimo votato, soprattutto dai cattolici cosiddetti impegnati a raccomandare (anche loro) i loro amici perché votino partiti parzialmente laicisti e sempre alquanto molto statalisti. Sebbene essi siano giudicabili migliori di quelli precedenti. Ma, si sa, il meglio è sempre peggio del buono!
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