Già all’inizio degli anni ’80, ho avuto una discussione surreale con una giovane impiegata belga della mia agenzia bruxellese multilingue che sosteneva assurdamente la necessità di non licenziare gli statali già in evidente sovrabbondanza. «Altrimenti – sosteneva –l’economia sarebbe molto danneggiata dalla loro mancata spesa mensile…». Ultimamente mi son ritrovato a sentire, dopo più di trent’anni, la stessa «argomentazione» da parte di un giovane che – peraltro colto (laureato) e impiegato a Bruxelles – alla proposta di liberarsi subito di almeno 700.000 statali in Italia, in larga eccedenza da decenni (come riproposto anche in giugno 2014), mi ha ripresentato la stessa tesi: «Se li licenziamo, la crisi si aggraverà ancor più…».
Appena eletto, il primo ministro in Gran Bretagna, Cameron, licenziò, come promesso in campagna elettorale, 490.000 funzionari UK (escludendo giudiziosamente solo insegnanti e poliziotti). Dunque, si è già fatto!
E i risultati sono stati naturalmente ottimi. Ma le leggende metropolitane, una volta innescate (e sostenute) son difficili da estirpare. Da dove scaturisce tanta scempiaggine per cui il licenziamento di eccedenze statali e stataliste sarebbe nocivo?
Malgrado che il socialismo cosiddetto democratico europeo si stia arrendendo alle evidenze liberali, almeno quelle contabili, le stesse che hanno massimamente prodotto, statalisticamente, Stati sovradimensionati e clientelari (anche da parte di governi di centro-destra, liberisti a parole), gli statali sono aumentati continuamente. Nell’ultimo decennio, son passati in Belgio da 950.000 a 1.450.000 e più; nelle istituzioni europee da 20.000 a circa 55.000; e in Italia, con in più l’esplosione delle clientele regionali, provinciali e comunali, nessuno è in grado di contare più gli innumerevoli del libro paga pubblico: settecentomila da licenziare è in realtà una cifra in larghissimo difetto e inizialmente provvisoria. Come è dunque possible che anche sul piano intuitivo non si possa capire che questa colossale spesa inutile (financo dannosa per la cultura burocratica imperante), se eliminata, possa essere la vera soluzione della gran parte di tutti i problemi economici almeno correnti?
Nel privato, non si aspetterebbe nemmeno un mese per licenziare gli esuberi. In famiglia, del resto, nemmeno una settimana per ridurre le spese (e cominciare a fare delle vere e prudenti riserve…).
La verità è che, per calcoli di squallida bottega, i partiti e i sindacati (ma non solo) preferiscono raccontar balle, concepite per supposti lobotomizzati: vale a dire le masse elettoralistiche e clientelari. Fino a convincere molti che però, in privato e in famiglia, mai utilizzerebbero (non potrebbero, del resto!) le cosiddette teorie keynesiane della pubblica spesa (Maynard Keynes, morto nel 1947) ideate per un mondo tra le due guerre mondiali quando, fra l’altro, c’era la metà degli attuali sette miliardi e mezzo di popolazioni. Ebbene, di fronte a cotanta stupidizia viziosa e corruttiva, proporrei – assurdamente, ne convengo, visto I costume politici in vigore sul continente – di licenziare i 700.000 statali e assimilati pagando loro , sempre nel surreale, uno stage obbligatorio, pagato dallo Stato, di due mesi in una PMI.
Potrebbero così vedere, toccare da vicino e direttamente, ciò che vuol dire lavorare veramente.
Potranno dopo mai scordare chi, e con quale fatica e angosce, pagavano il loro inutile salario.
E, soprattutto potranno vedere la vera differenza tra un « posto » e un lavoro reale.
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