A metà giugno 2015, il mondo occidentale non dispone ancora di una vera analisi abbastanza unitaria sulle vere cause della crisi economica attuale. Tutti gli annunci, innumerevoli volte reiterati negli ultimi anni – soprattutto dalle sedicenti autorità politiche ed economiche – , allo scopo di tranquillizzare (fuorviare) le masse popolari dei diversi paesi, altro non sono che la constatazione che le recessioni hanno tendenza, naturalmente, ad esaurirsi. Quando non hanno già compiuto tutto il loro disastroso e intrinseco compito di devastazione.
Tutto questo era assolutamente previsibile, del resto.
Quanto alla ripresa, la vera ripresa, si dovrà aspettare encora molti anni durante i quali innumerevoli e altrettanti annunci di falsi rilanci siano ancora avanzati. Essi riguarderanno, per molto tempo, solo recuperi parziali, molto parziali, di perdite accumulate implacabilmente dalle imprese nell’Occidente. Anche ben prima della data fatidica proclamata come « inizio della crisi » : nel 2008.
In effetti, l’attuale crisi economica, colossale nelle sue distruzioni e nella sua dimensione anche superiore a quella del 1928 (se si fa astrazione del generale livello di grande povertà dei mercati, all’epoca) era cominciata molto prima. Già dagli anni ’80, sono state contate almeno una mezza dozzina di crisi economiche fino a giungere all’ultima, definita approssimativamente come “finanziaria”. Senza mai veramente descriverla salvo con aggettivi improvvisati e molto vaghi: del tipo “crisi americana”, delle “banche speculative” nel ’98, delle “twin tower” nel 2001, della “costruzione” in USA… Si aveva permanentemente l’aria di accreditare denominazioni più fittizie ed occasionali che reali. Varie crisi, queste, più vicine alla loro natura economica concrèta che ai loro nominalismi che, volta volta, si giungeva ad attribuire. Fino, per l’appunto, all’ultima, denominata in modo generico e stereotipato, perché non si sa come effettivamente chiamarla in modo pertinente.
In realtà, sarebbe sufficiente, in modo molto semplice, osservare un elemento macroscopico e assolutamente inedito nella storia, per disporre della chiave di volta allo scopo di comprendere veramente la ragione fondamentale della crisi. Essa è il denominatore comune, riunisce e conferisce senso anche a tutte quelle qui sopra indicate. In effetti, da una cinquantina d’anni, l’utilizzo generalizzato della pillola e la banalizzazione degli aborti, anche come « diritto » sedicente umano (mai dimostrato), hanno provocato la sparizione di più di un miliardo e mezzo (!) di persone, che sarebbero ben vive e, molte, già al livello dei nonni: una cifra incredibile di « culle vuote » sul pianeta, tre volte la popolazione europea.
La conseguenza economica di questo sconvolgimento totale, che ha impoverito l’ordine naturale, è stato il crollo della domanda interna dei paesi occidentali : dunque la crisi progressiva dei bisogni che ha pure provocato lo sfacelo della recessione. La quale produce una disoccupazione gigantesca, anche e soprattutto dei giovani in Europa.
Ma perché si è deciso di non più fare bambini (o quantomeno la metà) ?
Mai nella storia si è vissuto così agiatamente, con un livello di vita e di qualità prima mai raggiunto !
Ma la passione individualistica ed egoista dell’edonismo moderno ha portato a rovesciare tutto l’ordine delle leggi della natura. Comprese quelle intangibili divine della Vita. Tutto è diventato prioritario per i desideri indifferenziati fino a porre come “inalienabili” le soddisfazioni di qualsiasi appetito di semplice concupiscenza. Questo ha prodotto ogni sorta di follia comportamentale che, fatalmente, ha condotto alla penuria più grave, quella letteralmente degli uomini. Da cui, come è facilmente comprensibile, la rovina graduale e proporzionale dei bisogni e delle attività. Ma una volta che gli uomini hanno intrapreso questa scelta assurda di voler vivere al di fuori di ogni legge, pure del buon senso e contro quella di Dio considerata come obsoleta e inutile, l’Occidente ha anche fatto ricorso ai debiti !
Da decenni, gli Stati hanno continuato ad indebitarsi progressivamente ingrassando le sue strutture – in sovrappiù – fino a dimensioni d’inevitabile e fatale spreco di fallimento. Lo statalismo è diventato talmente catastrofico che la deliquescenza economica non ha potuto essere fermata : i debiti aumentano ogni anno e non sono mai rimborsati. Essi sono immoralmente e mostruosamente messi sul gobbone delle generazioni future, già diventate presenti con i giovani di oggi. Il tutto, per poter vivere (a scrocco) al di sopra dei propri mezzi. Crimine mai visto prima ! Se si pensa agli interessi ciclopici annuali che si devono sempre pagare, quelli sì, e al fatto che l’età media della pensione e delle prepensione media in Europa è di circa 56 anni (!), le vere ragioni della crisi economica diventano intuitive ed evidenti: l’economia è una cosa tanto seria che non è serio lasciarla agli economisti (e agli attuali politici). Non sono mancati però grandi profeti del nostro tempo ad avvisare inutilmente di questi cataclismi e calamità: per esempio Ettore Gotti Tedeschi, ex ministro delle Finanze del Vaticano!
In definitiva, è abbastanza comprensibile che siano i relativisti,i nichilisti, i laicisti e tutti i miscredenti ad ignorare questa spiegazione, ormai, già da lungo tempo, di una semplicità quasi infantile relativamente a ciò che sta succedendo. Quello che piuttosto è sorprendente, invece, è che la Chiesa stessa non utilizzi largamente questa evidenza molto manifesta come catechesi del suo messaggio salvifico.
Per avere una idea della cecità che corre anche all’interno di queste strutture ecclesiali, si deve constatare l’utilizzo delle medesime analisi dei riduzionisti politicanti ed (pseudo)economisti.
Tutto il discorso contro l’edonismo, radicale e storico, dell’Humanae Vitae, l’enciclica di Paolo VI, è stata anche messa in sordina da decenni. L’auto-laicismo interno alla Chiesa è da molto tempo in azione come giustificazione insperata per le motivazioni trite e false del secolarimo.
Così, almeno due generazioni sguazzano nel nulla concettuale di questa mondanità che, come ben diceva il grande danese protestante Kierkegaard, “è sempre un frutto diabolico”.
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